L'elefante nella stanza: il conflitto d'interesse
Alcune settimane fa ho scritto che un consulente agli investimenti in banca è un dipendente dell’istituto ed è quindi da esso retribuito, con tutto ciò che questo comporta. Il Consulente Finanziario è invece un libero professionista e il suo “stipendio” è rappresentato da una parte delle commissioni generate dai prodotti d’investimento dei suoi clienti. In un certo senso i datori di lavoro del Consulente Finanziario sono proprio i suoi clienti.
La conseguenza diretta è che la consulenza media offerta in banca ha un approccio incentrato sul prodotto e sul rendimento (o meglio sulla promessa di rendimento) e non sulle necessità dei clienti, sulla pianificazione finanziaria e sulla corretta gestione dei rischi. Inoltre l’offerta di strumenti finanziari in banca è quasi esclusivamente monomarca (quella della banca stessa), mentre i consulenti finanziari hanno di norma una grande libertà nella scelta degli strumenti d’investimento da proporre e utilizzare e quindi potranno scegliere quelli che offrono la maggiore qualità e i minori costi.
Se il conflitto d’interesse è evidente nel caso del dipendente bancario e dell’istituto per cui lavora, è pur vero che anche il Consulente Finanziario è soggetto ad un conflitto d’interesse. Percependo una parte delle commissioni pagate dai suoi clienti infatti potrebbe essere spinto a suggerire gli strumenti più costosi invece di quelli più efficaci e di maggior qualità.
Per superare questo problema esistono 2 soluzioni.
La prima è quella della trasparenza sui costi. Se io cliente so esattamente quanto sto spendendo per la consulenza finanziaria che ricevo e quali costi gravano sugli strumenti che ho in portafoglio avrò la possibilità di rendermi conto se essi incidono eccessivamente sul mio capitale e sui rendimenti che esso genera.
L'altra soluzione (che ovviamente non esclude la prima, ma la integra) è quella di allineare l'interesse del consulente finanziario al mio. È a tale scopo che, ormai da anni, sul modello anglosassone, anche in Italia è stata introdotta la consulenza a “parcella” o "fee only". In questo caso il consulente non viene remunerato con una parte delle commissioni generate dagli investimenti dei suoi clienti, ma percepisce da loro un pagamento diretto. Questa parcella è concordata preventivamente e chiaramente tra le parti ed è rappresentata da una commissione percentuale fissa sul patrimonio su cui viene prestata la consulenza. In questo modo il conflitto d’interesse scompare non essendoci alcun interesse da parte del Consulente a proporre investimenti più costosi del dovuto e viene così assicurato l’incontro tra l’interesse del cliente ad un servizio di qualità con costi trasparenti e quello del Consulente Finanziario a vedere valorizzata la sua attività professionale.
Con il tuo consulente hai mai parlato dei costi che gravano sui tuoi investimenti?
Hai una chiara idea di quali commissioni vengono applicate agli strumenti che hai in portafoglio e quanto incidono sul suo rendimento?
Se la risposta è negativa, è senza dubbio giunta l'ora di fare il tagliando ai tuoi investimenti!
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