Caro fondo, ma quanto mi costi?

Una delle regole fondamentali per investire con successo è valutare con attenzione i costi e contenerli ove possibile.



Un buon consulente finanziario capace di aiutare i suoi clienti nella gestione delle emozioni non ha prezzo, l’autocontrollo e la sana pianificazione rendono più dell’asset allocation o di prodotti finanziari a basso costo ma di scarsa qualità. Non possiamo però ignorare il fatto che alcuni costi applicati agli strumenti d’investimento sono oramai anacronistici e spesso vessatori per i clienti. Gli investitori hanno una chiara idea di quanto e cosa pagano? A giudicare da quanto hanno incassato molte Società di Gestione del Risparmio (SGR) in commissioni di performance nel solo 2019 sembra di no. Certo, il 2019 è stato un anno molto positivo sui mercati, ma anche nel 2018, anno in cui le cose sono andate diversamente, le commissioni di questo tipo incassate dalle medesime società sono state tutt’altro che trascurabili grazie a metodi di calcolo “fantasiosi”. Nonostante i continui richiami dell’UE le società di gestione in Italia fanno fatica a rinunciare a tale (discutibile) costo.
Se i maggiori costi sostenuti per strumenti che prevedono laute commissioni di performance sono giustificati da maggiori rendimenti effettivi per i clienti o, a parità di rendimenti, da un minor rischio, nessun problema. Ho però il forte sospetto che le cose non stiano così...

La discussione riguardo alle commissioni di performance non è nuova ed è stata anche oggetto di una puntata di Report di Milena Gabanelli qualche anno fa. A riaccenderla è stata la pubblicazione di un regolamento dell’ESMA (European Securities and Markets Authority) che intende uniformare e rendere più equo questo tipo di costi senza però eliminarli.

In proposito un articolo apparso su Il Sole 24 Ore di venerdì 20 novembre.
“Sulle spese aggiuntive che gravano sui fondi di investimento in caso di rendimenti positivi in termini assoluti o rispetto a un benchmark, e che in molti casi costituiscono una buona fetta dei ricavi delle società di gestione, sembra infatti essere arrivato il temuto giro di vite dell'Esma. Facendo seguito alle linee guida di aprile, l'autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati ha appena pubblicato un documento per regolamentare e uniformare a livello continentale il calcolo di questa tipologia di oneri che continua, nonostante critiche e discussioni, a essere applicata da diversi gestori, anche in Italia.
Le novità riguardano in primo luogo la frequenza della trattenuta, che può essere effettuata una sola volta l'anno e quindi non più con cadenza mensile o trimestrale come in alcuni casi si continuava ad applicare. Inoltre le commissioni di incentivo saranno comunque prelevabili soltanto nel caso in cui il fondo abbia maturato una performance positiva durante un periodo di riferimento pari ad almeno 5 anni.”
Diverse tra le maggiori Società di Gestione del Risparmio (SGR) italiane applicano queste commissioni in modo molto diffuso tanto che “nel 2019 hanno totalizzato quasi un miliardo di euro realizzando così il 36% degli utili riportati a bilancio”.
 
L’invito è quello di capire quali sono i costi legati ai propri investimenti e di valutare se siano o meno giustificati dai risultati ottenuti e dal servizio ricevuto.


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