Paura del futuro: più depositi che PIL


In base ai dati pubblicati dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI), al 31 agosto 2020 in Italia erano depositati in conto corrente 1.673 miliardi di euro, in aumento del 7% rispetto all’agosto 2019. Una cifra superiore a quella dell’intero PIL italiano, che in base alla Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) a fine anno si attesterà a 1.647 miliardi di euro.

Il sorpasso dei depositi sul PIL è di per sé preoccupante perché deriva da un aumento consistente dei depositi e da un altrettanto consistente contrazione del PIL italiano. Entrambi sono fenomeni allarmanti. Credo non sia necessario dilungarmi sul perché una forte contrazione del PIL sia preoccupante. Mi concentrerò invece sulla crescita dei depositi. Per farlo ripassiamo uno dei concetti cardine dell'economia: l'inflazione. 

Ne sentiamo parlare quasi tutti i giorni, ma sappiamo davvero cos’è l’inflazione?

Già la sua etimologia ci può aiutare a capire di cosa si tratta: inflazione, dal latino inflatio «enfiamento, gonfiatura», derivato da inflāre «gonfiare». L’inflazione è proprio quel fenomeno per cui i prezzi dei beni si “gonfiano” con l’andare del tempo riducendo il valore del denaro. Se oggi con 100 euro riesco a comprare una certa quantità di beni, con un aumento dell’inflazione del 2%, avrò bisogno di 102 euro per comprare la stessa quantità di beni.

L’inflazione è definita come l’aumento prolungato del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo, che genera una diminuzione del potere d’acquisto della moneta. L'incremento del livello generale dei prezzi espresso in termini percentuali è detto tasso d’inflazione.

L’inflazione ha risvolti negativi, ma anche positivi. Se è vero che essa erode il valore dei nostri risparmi, è anche vero che un certo livello di inflazione è salutare per l’economia.

Il signor Rossi, prevedendo un aumento dei prezzi futuri, preferirà acquistare oggi un bene di cui ha necessità piuttosto che attendere che il suo prezzo aumenti. Questo meccanismo mantiene in “movimento” l’economia favorendo la spesa. Se, viceversa, l’inflazione è negativa, e quindi il signor Rossi prevede che un bene a cui è interessato e che oggi costa 100 euro, fra qualche mese costerà 98 euro, è spinto a rimandare l’acquisto in attesa che il prezzo si abbassi. Ciò riduce i consumi e di conseguenza l’economia nel suo complesso. Il fenomeno dell’inflazione negativa, se prolungato nel tempo, prende il nome di deflazione ed è uno degli incubi che tiene svegli gli economisti di notte.

 




Un’inflazione molto bassa indica generalmente una debolezza dell’economia e quando essa assume valori negativi, come accaduto di recente, la propensione al risparmio delle famiglie aumenta e i consumi diminuiscono deprimendo ulteriormente l’economia.



Gli economisti in generale ritengono che un livello salutare di inflazione sia intorno al 2%. Per tale motivo diverse banche centrali hanno come mandato principale quello di mantenere l’inflazione vicino a questo valore.

L’effetto che l’inflazione ha, quando positiva, sulle somme depositate in conto corrente è quello di eroderne progressivamente il potere d’acquisto. Dunque i 10.000 euro che il signor Rossi custodisce sul suo conto corrente con l’andare del tempo gli permetteranno di comprare sempre meno beni e servizi.

L’inflazione non dorme mai. Al massimo sonnecchia, come succede in questi mesi, ma in un periodo di tempo più lungo è una componente da tenere sotto controllo perché ha un forte effetto sui nostri risparmi. Poiché i prezzi dei beni tendono ad aumentare con il tempo, il valore del denaro invece diminuisce gradualmente nel tempo. L’inflazione è una lavoratrice instancabile, che agisce con una costanza esemplare.

Così come un investimento con un tasso di rendimento del 3,5% annuo in 20 anni è in grado di raddoppiare il capitale investito, allo stesso modo un’inflazione del 3,5% annuo dimezza in poco meno di 20 anni il valore del capitale iniziale. È quindi molto importante, quando si esamina il rendimento di un investimento, tenere conto non solo del rendimento nominale, ma anche del suo rendimento reale. Ovvero del rendimento nominale meno l’inflazione. Se, ad esempio, si acquista un BTP con un rendimento del 2%, l’anno seguente, per effetto di un’inflazione del 1%, si avrà un rendimento reale pari all’ 1%.

Il denaro che non viene investito o che genera un rendimento più basso del tasso di inflazione, perde di valore. Di conseguenza investire non è soltanto un’occasione per accrescere la propria ricchezza, ma diventa l’unico modo per difendere i propri risparmi dall’instancabile ed inesorabile opera dell’inflazione.

È proprio il caso di dire che il tempo è denaro!

La notoria propensione al risparmio del popolo italiano nel suo complesso – a mio avviso, più ascrivibile alla parte anziana della popolazione piuttosto che a quella giovane per vari motivi - è sicuramente un’ottima notizia. Non si può dire la stessa cosa quando questa propensione al risparmio nasce dalla paura del futuro, sottrae risorse alla crescita economica e i risparmi accumulati vengono lasciati infruttiferi sui conti correnti.


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